THE ANDROGYNE
AS AN ICON
“L’ANDROGINO COME ICONA DAL ‘900 AD OGGI"
tra mito, spettacolo e fotografia
Testi e grafica a cura di Benedetta Spagnuolo © Copyright 2007/2014
I Edizione 2007 - II Edizione 2014
Pag. 118
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Premesse
Il tema principale dell’esposizione è l’analisi del concetto di androginia dal mito Greco-Romano, dove si metterà in evidenza la distinzione ben chiara tra “Androginia” ed “Ermafroditismo”, fino ad arrivare a fotografi e artisti/musicisti del ‘900, che si avvalgono del’Androgino come archetipo e come vera e propria icona di vita, come modello per poter valicare e andare oltre ogni censura, mostrando davanti l’obiettivo e sul palcoscenico il proprio Alter-ego. L’androgino è la metafora per eccellenza dell’unione degli opposti.
Nella prima parte del percorso (capitolo I) si affronterà il concetto di androginia nella sua origine e nella mitologia, tra il racconto di Aristofane nel Simposio di Platone e le differenze con l’Ermafrodito. Nell’antichità all’interno del rito e del rituale l’androgino è considerato un modello di raggiunta perfezione dei due sessi, anche se nella realtà quotidiana della società antica , l’androgino, provvisto sia degli organi maschili che femminili, è giudicato una mostruosità della natura e per questo abolito senza alcun ritegno. Nel Simposio di Platone, Aristofane apre il discorso con la descrizione dell’antica natura umana e dei rapporti che gli esseri umani di allora intrattenevano con il resto dell’universo, qui parla non più dell’ esistenza di solo due esseri maschio e femmina, ma ne esisteva un terzo, che con il dorso rotondo, i fianchi circolari, quattro braccia, quattro gambe e due visi, veniva definito un essere “perfetto”. L’androgino era dotato di organi riproduttivi situati sopra le natiche, e per tale motivo non aveva l’esigenza di accoppiarsi perché appunto essere già completo e quindi perfetto; l’uomo nasceva dal sole, la donna dalla terra, l’androgino dalla luna. Essi erano temibili in virtù del loro vigore e della loro forza, tanto da attaccare gli dei, ma Zeus il padre non li uccide, perché troppo perfetti, ma li rende più deboli separandoli con un filo, e trasferendo i genitali all’esterno affinché si riproducano da soli. Il desiderio dell’altro porta a non essere androgino. Nell’arte la sessualità è da sempre alla ricerca di un completamento o di una ritrovata unione fra i due generi opposti.
La parte centrale del libro, affronta il tema dell’androgino come simbolo portante della fotografia e della performance musicale nel ‘900. Nello specifico, nel secondo capitolo scruteremo e analizzeremo le sembianze femminili e androgine di Marcel Duchamp, con lo pseudonimo di “Rrose Sèlavy” e ci troveremo di fronte personaggi “neutri”(senza una specifica identità sessuale) come Claude Cahun. Nella fotografia, “la presenza di molteplici trasformazioni nell’incessante indagine di alcuni artisti alla ricerca di un alter ego in cui rifugiarsi per mostrare eventuali lati oscuri insiti nella psiche umana si allaccia al concetto di travestimento androgino come evoluzione del sé, un travestimento lontano da una tendenza o perversione sessuale.”
Nel terzo capitolo toccheremo e vivremo le molteplici identità di Urs Lüthi e finiremo per trovarci in un mondo di lustrini, parrucche platinate, tacchi vertiginosi, gonne cortissime, maschere e trucchi glitterati, dove questa esplosione di colori, diviene la base, per lo spettacolo, di numerosi musicisti e cantanti, idoli ormai di una società che va oltre ogni censura e oltre ogni regola. Personaggi come l’alieno Ziggy Stardust di David Bowie e Frank’n Furten del musical trash “The Rocky Horror Picture show”, vengono immortalati in scatti dal fotografo londinese Mick Rock; quest’ultimo riesce a bloccare sulla pellicola il reale e il surreale, trasforma la sfuggente performance, in una testimonianza concreta, fatta di magia e maschere, senza mai più limiti di tempo.
La parte finale del mio lavoro scruterà l’androgino nel mondo contemporaneo. Nel quarto capitolo vivremo storie di donne vulnerabili e sensuali con Cindy Sherman e il performer/trasformista più innovativo degli ultimi tempi, Matthew Barney, che va oltre il supporto fotografico per arrivare al cinema, dove l’androginia è forma costante nelle sue esibizioni. Nell’ultimo capitolo si discuterà dei miei lavori fotografici, self portraits che rappresentano l’androgino come annullamento di una specifica identità, come fossero una miriade di spettri che cercano di identificarsi continuamente, contro una società che scappa di fronte al “dubbio” e all’”incertezza”.
Nel ‘900 la fotografia definisce l’androgino una vera e propria icona, attua l’abbinamento uomo/donna non solo come affermazione di molteplici identità, ma ancora usa la figura dell’androgino come archetipo trasgressivo capace di mettere in crisi, o addirittura sovvertire, le regole comunemente accettate. La fotografia come messa in scena di un mondo che va oltre il quotidiano, artisti che mettono davanti un apparecchio fotografico maschere di un androginia nascosta o già svelata attraverso tratti ambigui del proprio corpo. Artisti che espongono il proprio “territorio” in un teatro truccato e trasformato, in cui la nostra pelle, diventa anima, su cui poter modellare con costumi e parrucche. Il teatro degli “scatti” diviene forma anche di protesta di una realtà che vuole andare oltre se stessa.